Una pandemia ci costringe in casa per mesi, ci fa perdere il lavoro e ci induce a rivedere priorità e convinzioni.
Ti dici, ok, adesso ci manca solo che mi si rompa il cellulare.
Ecco.
Per un guasto causato unicamente dalla mia delicatezza elefantina nel collegare e scollegare il cavetto di ricarica e per una serie di (s)fortunati eventi determinati
dall'emergenza sanitaria, ho trascorso i mie mesi da reclusa senza il cellulare.
Un passo indietro.
Anno scorso, dopo avere completamente esaurito il vecchio “normale” smartphone, ordino finalmente il mio oggetto del desiderio tecnologico, l’ultimo modello di Fairphone.
Per la soddisfazione di un acquisto tanto desiderato e meditato, chiunque incrociassi veniva entusiasticamente informato: “LO SAI CHE HO COMPRATO IL FAIRPHONE????”
Ho scoperto così che in Italia quasi nessuno è a conoscenza della sua esistenza, né tanto meno delle sue caratteristiche di cellulare etico e sostenibile (d’accordo, il mio campione era piuttosto ristretto, ma si tratta di persone istruite e mediamente informate, attive in vario grado sui social, possibile che nessuno ne avesse mai sentito parlare? Sì, possibilissimo, se il tecnico di un noto negozio di telefonia della mia città, interpellato sulla possibilità di trasferire i dati fra vecchio e nuovo telefono, mi rispose: “noi non lavoriamo con questi prodotti cinesi a basso costo!” Ehm)
Ora almeno le persone con cui ho parlato dopo l’acquisto, tecnico compreso, sono state diffusamente informate del fatto che si tratta di un cellulare che garantisce rispetto per l’ambiente e per i diritti dei lavoratori.
Comunque, per tornare alla pandemia.
Il modulo di ricambio del Fairphone (la progettazione a moduli lo rende il cellulare col più alto grado di riparabilità sul mercato) era disponibile. Pronto per me. In Olanda.
Ma mi sono presto resa conto che durante il lockdown, quando era possibile affidare ai corrieri qualsiasi cosa a parte il lievito madre, importare droni antirunner dalla Kamchatka, farsi arrivare una marinara da O’ Vesuvio di Napoli, spedire ad amici vicini e lontani le coperte all'uncinetto per gatti, le uniche merci non movimentabili erano quelle olandesi verso l’Italia.
Così, con la mia mania di controllo messa già a dura prova, e più disposta di quanto avessi mai immaginato ad accettare gli imprevisti, ho avvisato colleghi e amici (compresi quelli che dopo due giorni di silenzio avevano iniziato a contattare gli ospedali di zona) che avrei acceso il cellulare solo un’ora al giorno per rispondere ai messaggi più urgenti, in attesa di poterlo nuovamente ricaricare una volta riparato.
Fra volontariato, lavoro ed amicizie ho un migliaio di contatti in rubrica, e forse altrettanti gruppi di Whatsapp. Un trillo continuo di messaggi di ogni tipo è da anni il sottofondo alle mie giornate. Ero convinta di gestire benissimo queste continue interruzioni, e neanche mi accorgevo di quanto fosse diventato naturale il gesto di controllare il display del cellulare ogni cinque minuti.
Improvvisamente, invece, il silenzio.
Gli incontri di gruppo su Skype, che ci hanno aiutato tutti a sentirci meno soli, venivano quasi sempre programmati con anticipo, e nel resto del tempo rimanevo io e la giornata da riempire.
Ed è successo quello che proprio un articolo dell’azienda suggeriva qualche giorno fa: senza averlo deciso, “I put my phone down”.
(https://www.fairphone.com/en/2020/04/16/put-down-your-phone/).
Pensavo sarebbe stato traumatico, e molto ansiogeno.
Invece in brevissimo tempo ho iniziato ad apprezzare i benefici della ritrovata concentrazione, di cui pensavo di non avere bisogno.
Ho ripreso lo studio del francese.
Ho seguito film senza interrompermi ogni dieci minuti per rispondere a messaggi che, diciamocelo, non sono quasi mai così urgenti. Fatto ginnastica con il solo sottofondo della musica.
Nel silenzio, ho applicato creatività e fantasia alla tecnologia: ho ideato il mio nuovo sito – mai avrei neppure immaginato di creare un sito da sola – , montato video per le mie attività di volontariato e realizzato nuove brochure di presentazione aziendale.
E ora che anche i corrieri olandesi sono tornati in attività ed ho riavuto il cellulare funzionante a pieno ritmo, l’impegno è quello di continuare a utilizzarlo alle scadenze che decido io, invece di subire le sue interruzioni e comprimere le mie attività negli intervalli che mi vengono da lui concessi fra un messaggio e una telefonata.
Come scrive Jan, dipendente di Fairphone ed autore dell’articolo, "creating that space to put my phone down has truly made a difference for me in the last weeks".“
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