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La prima volta

La prima volta ho dovuto farlo con gli appunti.

"Una Caipiroska al maracujia, un Mojito e un Hugo, veloce!"; abituata ai ritmi dell'interpretariato ed avvezza a prestare attenzione a mille cose in una volta, credo di avere mantenuto un sorriso stampato sotto la mascherina e tenuto - all'apparenza - sotto controllo il panico.

I cocktail sono stati elaborati con un occhio al mixer e l'altro al blocco degli appunti della Lisa, la mia magica collega e guida spirituale.

(quante volte ci è toccato, da interpreti, destreggiarci in acrobazie che manco all'esame di maturità, per risalire alla traduzione del termine tecnico impossibile?)

Ecco.

Quest'estate, dopo aver preso coscienza che lavoro d'interprete nisba, niet, 没有 (almeno non in quantità tale da permettere la sopravvivenza), mi sono cimentata in varie ed eventuali.

Barista (astemia!), cat sitter, educatrice.

Se mai non lo avessi pensato, ho avuto modo di riflettere su quanto sia difficile ogni lavoro, se desideri praticarlo con un minimo di competenza. E quanto ogni lavoro meriti rispetto e considerazione.

(e qui la parentesi dovrebbe essere lunghissima, vista una mancanza di legislazione sul compenso minimo orario e la progressiva disgregazione di diritti dei lavoratori in genere in nome di un'iper flessibilità insostenibile).

 

Comunque.

Il periodo che abbiamo davanti ci ritrova impauriti ed accasciati, con la prospettiva di un inverno difficile.

Per alcune categorie di lavoratori in modo particolare.

Il lavoro d'interprete è quanto mai sporadico, e spesso mal pagato (in nome di una bizzarra legge di mercato del mondo alla rovescia per cui, "visto che sono i lavori rari, non puoi chiedermi tanto").

Anche se "interprete una volta, interprete per sempre", per cui in ogni esperienza lavorativa mi porto un bagaglio di competenze, atteggiamenti ed abitudine alla preparazione, mi sento in questo momento nei confronti del mio "primo lavoro" come una ex fidanzata delusa. 

Una cosa del tipo: "non mi vuoi più? vedi quanto mi diverto coi primi che capitano!"; il rischio concreto è quello di disabituarsi completamente alla vita da interprete, e di crearne di nuove.

Con l'assenza di sicurezze in ogni ambito, anche reinventarsi diventa comunque un'impresa titanica, che neanche in Hunger Games.

Quello che non manca mai è il sempiterno, frustrante ed assurdo ritornello da marzo : "Ma potresti fare traduzioni!!" 

 

 

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